Obiettivi della formazione

Formare psicoterapeuti implica, in un certo senso, tutte e tre le professioni “impossibili” di cui parlava Freud – educare, curare e governare. Possiamo chiederci con Meltzer [1987] come sia possibile “incoraggiare l’apprendimento piuttosto che imbarcarci nell’insegnamento o nell’addestramento”. In prima battuta prevediamo non tanto di aumentare l’impalcatura nozionistica dell’allievo quanto di destabilizzare alcune sue sicurezze e desideri di “potere conoscitivo”. Il nostro processo di formazione procede così, come diceva Freud a proposito della psicoanalisi, per via di levare, e non per via di porre.

Uno dei nodi da affrontare è quello di strutturare una situazione di apprendimento che assolva a funzioni positive proprio perché sono i sentimenti il nocciolo della questione ed è l’autenticità con cui riusciamo ad accogliere le nostre emozioni che ci permetterà di esprimerle con sincerità (Meltzer). Ci limitiamo qui a ricordare le funzioni positive di cui ci parla Donald Meltzer:

  • generare amore
  • sostenere la speranza
  • contenere la sofferenza depressiva
  • pensare

Siamo comunque esposti ad un paradosso: è essenziale in un processo di formazione stimolare capacità di pensare e di sentire autonome, ma ciò richiede una struttura che assuma in sé le caratteristiche organizzative tipiche e le finalità di un’istituzione.
In quanto istituzione, però, ogni struttura tenderà a porsi a livello di funzionamento primitivo, “senza il concorso della mente”, in una condizione organizzativa di tipo tribale che Bion ha definito di Assunto di base. L’impegno diventa allora quello di operare con lo scopo di favorire il costituirsi e il mantenersi di gruppi di lavoro, gruppi cioè in cui prevale l’etica della mentalità individuale, delle relazioni contrattuali e della collaborazione. Ma l’esperienza suggerisce che tutto questo è fragile e si decompone nelle politiche dell’assunto di base appena nascono tensioni e conflitti.
Questa estrema fragilità è data anche dal fatto che per costituire un gruppo di lavoro occorrono tempo, pensiero e comunicazione, mentre il gruppo in assunto di base può emergere improvvisamente, ogni qualvolta siano presenti due o più persone. Il raggruppamento primitivo si verifica ad un livello di organizzazione in cui il pensiero creativo non è in funzione, ma viene solamente simulato.
Tempo, pensiero, comunicazione sono – in certo qual modo- ideali chiavi di volta, su cui poggiare un costrutto formativo che tenti di privilegiare il gruppo di lavoro rendendosi attenti alle irruzioni dei livelli primitivi “senza il concorso della mente”.
Un processo di formazione in senso psicoterapeutico deve far sì che alcune attitudini possano trasformarsi in capacità (Blandino); deve coltivare la possibilità di interrogarsi continuamente su cosa sta accadendo e cosa si sta facendo nella relazione con il paziente: si sta lavorando su un piano di comunicazione da mente a mente o vi è un’azione sulla mente dell’altro?
In relazione a ciò possiamo cercare di evidenziare alcuni degli obiettivi formativi:

– stimolare l’ascolto e l’osservazione

  • come necessità di acquisire una sensibilità per le dimensioni emozionali e affettive della relazione poiché nel lavoro terapeutico non vengono coinvolte solo le proprie idee ma soprattutto il proprio modo di essere
  • come capacità di cogliere nel discorso manifesto e concreto il significato emotivo e metaforico che la realtà esterna ha per il paziente
  • come capacità di osservare e ascoltare se stessi mentre si osserva e si ascolta l’altro

– promuovere la capacità di strutturare e mantenere un setting inteso prioritariamente come

  • assetto mentale del terapeuta quale contenitore elastico e permeabile degli stati emotivi, delle proiezioni, delle fantasmatizzazioni che si sviluppano nella relazione terapeutica
  • luogo privilegiato per dare significato alle parti primitive della personalità che si manifestano anche in occasione delle più comuni ‘rotture’ del setting stesso
  • promuovere la capacità di comprendere i movimenti del processo terapeutico nella dinamica transfert – controtransfert
  • promuovere la capacità di utilizzare lo strumento interpretativo per dar senso -attraverso un processo di comprensione e di trasformazione -alla storia del paziente

– stimolare la capacità negativa come

  • capacità di tollerare l’incertezza nell’attesa di un insight, espressione del pensiero creativo della coppia terapeutica
  • capacità di contenimento delle proiezioni aggressive e distruttive del paziente La capacità di ascoltare apertamente e attentamente la prospettiva dell’altro, la libertà di pensare in senso creativo ed affettivo, scompaiono in situazioni sentite come minacciose, quando per esempio i nuclei sofferenti del paziente sembrano richiederci, per essere ascoltati e accolti, di affrontare qualcosa del nostro mondo emotivo che, proprio perché rimasto saldamente cristallizzato ci fa temere, se messo in movimento, un intollerabile rischio di destabilizzazione. Forte è a quel punto- la possibilità che il bisogno di mantenere il proprio ‘status quo emotivo’ faccia sì che il nostro pensiero si organizzi secondo le ben note dinamiche dominatore-dominato.

Ciascun psicoterapeuta in formazione ha quindi necessità di essere messo in contatto con gli elementi inconsci della sua personalità , che se non ben conosciuti, appunto, possono interferire e limitare la sua capacità d’ascolto, di comprensione e di intervento.

Come ci ricorda Betty Joseph il fine dell’analisi è di rendere più sicuro quel oggetto interno che esercita una comprensione, che ci permette di sentirci vivi, di “essere” in una comunicazione verticale con noi stessi e
orizzontale con gli altri. Infatti scopo dell’analisi personale del terapeuta “… non è di trasformarlo in un cervello meccanico in grado di produrre interpretazioni utilizzando un procedimento puramente intellettuale, ma di metterlo in grado di sostenere i propri sentimenti piuttosto che scaricarli come fa il paziente” [P. Heimann, 1959].

Le emozioni che si producono nella relazione psicoterapeutica possono essere molto violente. E’ essenziale quindi prepararsi a viverle, a non sentirle come un problema da cui difendersi, a resistere alla tentazione di agire, anziché pensare, per poter poi, nella pratica professionale, attendere che l’effetto di una comprensione inconscia si trasformi in una comprensione consapevole e comunicabile al paziente attraverso lo strumento interpretativo. L’analisi permette di sperimentare su di sé l’effetto dell’insight, della dipendenza contenitiva e delle sue vicissitudini.
Qual è allora il nostro compito di terapeuti?

Ci piace sempre molto ricordare Winnicott quando dice che verso la fine della sua vita ha realizzato che il suo compito di analista non era tanto di fare interpretazioni intelligenti ed appropriate quanto di restituire al paziente ciò che egli nel tempo gli aveva offerto.

Questo ci pare un atteggiamento di rispetto e di mutualità, che riconosce l’importanza della creazione e del mantenimento di un’area intermedia dove possano liberamente circolare e formarsi emozioni idee e capacità ludiche, dove cioè la creatività della persona possa esprimersi coraggiosamente e dove il nostro impegno etico ci renda attenti a non esercitare sui nostri pazienti pressioni inconsce per spingerli ad adattarsi, a compiacere i nostri desideri e i nostri bisogni.

La mente dell’uomo, nonostante i livelli sofisticati di concettualizzazione e di scientificità, è emotivamente rudimentale e ha bisogno, per svilupparsi e diventare conoscitivamente funzionante, veramente di tanti anni di cura. Come paziente e come allievo.