Sesso

da La Stampa 12/12/2000

Ad ascoltare dati di tirature e statistiche di vendita nel mondo della carta stampata, le pareti domestiche e non d’ogni maschio italiano dai tre anni in su dovrebbero essere tappezzate di calendari: non un solo lembo di carta da parati o intonaco a vista, occultato da tripudi di carne femminile che per ora sventolano dalle edicole d’ogni angolo d’Italia. Ma questi corpi al vento turbano davvero i sogni dei nostri uomini, intasano davvero quegli imperscrutabili canali di circolazione ormonale verso i quali siamo tutti debitori di sensazioni e sentimenti? Sarà un illusorio presentimento femminile, ma il dubbio parrebbe di rigore. Qualche tempo fa campeggiò sui giornali la fotografia di un quadro di Courbet negato per decenni agli occhi di appassionati d’arte e turisti da museo, in virtù di ragioni «morali»: una vagina ritratta in tutta la sua corposità, da una vicinanza disarmante. Scabrosa oltre ogni misura perché poteva essere di ognuna di noi: l’immagine era conturbante e lo è ancora oggi proprio perché in bilico fra l’opera d’arte e il ritratto di una realtà assolutamente «qualunque». In quell’organo non si può fare a meno di riconoscersi. Il nudo colpisce l’occhio e altro quando ammiccando dice: guarda che in fondo potresti essere tu (donna), potrebbe essere lei (la donna che hai avvicinato, sfiorato, baciato). Ma la mammella marmorea che sfonda la pagina, il gluteo scolpito, i grovigli di fibre che campeggiano sui calendari in generosa offerta sembrano più cartoni animati del porno che richiami a salutari accoppiamenti di sessi opposti. Guardandoli, prima delle curve mozzafiato saltano all’occhio e alla mente cerotti invisibili che sollevano là dove c’è da alzare, innocui (?) inserti siliconici, olii per profane unzioni, ritocchi sapienti di obiettivi fotografici, bisturi in agguato. Quelle immagini sono manipolate con una ostentazione che finisce per risultare ingenua e, con buona pace di chi si contempla piegoline adipose, celluliti più o meno incalzanti, petti smunti e chiappe insignificanti, risultano pedantemente irreali. Relegate a una fissità ignara di difetti ma anche di vere carezze , le donne dei calendari (anzi forse varrebbe la pena di usare il singolare: quelle donne sono un’unica entità indistinta, un nome comune collettivo) sono definitivamente distanti, irraggiungibili. Asserragliate dietro i loro mesi patinati dove vige un silenzio inquietante così poco consono a un’intimità in cui anche la voce vuole la sua parte, le intoccabili Marine, Megan, Manuele guardano con infinita nostalgia a quel mondo imperfetto dove ci si desidera e congiunge davvero .

Di Elena Loewenthal

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da L’ignoranza

Si sente invadere da un senso di pace: per la prima volta nella sua vita,
la sessualita’ si situa al di la’ di ogni pericolo, al di la’ di drammi e
conflitti, al di la’ di ogni persecuzione, al di la’ di ogni senso di
colpa, al di la’ delle preoccupazioni; non deve pensare a nulla, e’ l’amore
che pensa a lui, l’amore che ha sempre desiderato e mai avuto:
amore-riposo; amore-oblio; amore-diserzione; amore-spensieratezza; amore
futilita’.

E sa che il terrore di essere mangiati non e’ che la conseguenza di un
altro terrore piu’ oscuro e che insidia dal profondo tutta l’esistenza: il
terrore di essere corpo, di esistere sotto forma di corpo.

Di Milan Kundera 

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da Stesso Mare

Occhi sulla schiena occhi sul tetto occhi sulla vergogna occhi sulla festa Nadia ricorda pizzo di fazzoletti pizzo di reggiseno merletto nastri cinture giarrettiere e seta trasparente blusa corsetto velo, astuzie segreti di donne aggraziate concimaia coperta di teli di velluto, risa soffocate ghigni di vicine ghigni di zie che ammiccano accarezzano acide adagio adagio le tendono sopra una rete serica, trame di donne che intrappolano incatenano in un intrico di bava di ragno esile e diafana, adagio adagio iniziano i segreti di congiura, impasti di menzogne montagne di cuciture, sodalizio malizioso contro il sesso maschile, combinazione di antichi stratagemmi profumi delicati, monili unguenti, occhi occhi malocchio Nadia ricorda una bambina prigioniera nell’angusto sacrario di un culto femminile, regole di decoro regole di mestruo regole di senno, virtù di candore e malizia, cipria e creme ombretto matita, l’indole maschile che bisogna imparare tanto a svegliare quanto a respingere, cosa fallace la grazia cosa vana la bellezza ma tu bada bene altro che fallacia e vanità, bada a non invecchiare, invisa e stantia diventerai, che Dio vi conservi.
Concedi loro un mignolo e ti vorrebbero tutta e tu concedi un mignolo tanto poi ti buttano via come un orcio vuoto, la donna è una pignatta colma di miele e vergogna, un orto serrato una fonte suggellata tesoro nascosto in attesa del Redentore, maschio estraneo non s’avvicini ma nemmeno stia lontano, affamalo assetalo ma di tanto in tanto gettagli una briciola, sempre prudente con falso candore altrimenti guai: dileggio e onta.
Occhi occhi malocchio, virtù, risatine, bisbigli, stratagemmi, trame di donne e leggi di femmine, come suscitare amore con modestia, incenso vertigine nausea incanto, e lei che voglia di fuggire che voglia di morire che voglia di scappare nel mondo degli scoiattoli ed essere per l’eternità: no, non una donna e nemmeno un uomo piuttosto una bestiolina timida tutta occhi, quasi senza corpo.

Di Amos Oz

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da un’intervista

Io non posso dire di avere il sesso e di disporre del sesso come dispongo della mia voce di un braccio il sesso mi possiede.

Di Umberto Galimberti